E se per uno sportivo estremo fosse estrema la vita monotona di tutti i giorni?
Ruotine quotidiane, lavoro, stress, giornate che si ripetono come fotocopiatrici inceppate. Alzati, lavora, guadagna, consuma.. Questo per me è estremo!
I vincoli della società moderna sono come delle sbarre di una prigione per molte persone. Prendersi dei rischi valorizza la leggerezza e la libertà rispetto a un mondo in cui siamo obbligati a vivere ma di cui sentiamo di non fare parte.
Ricercare la paura e cercare di addomesticarla, essere consapevoli di mettersi in situazioni pericolose e tornare a casa con una mega dose di adrenalina ti fanno entrare in un universo parallelo nel quale le routine quotidiane non esistono e le priorità cambiano.
Non hai più bisogno di lavorare e consumare all’interno di una società che ti fa vestire maschere e ti richiede continua autoregolazione. Lo sport estremo ti toglie tutti i filtri. Sei da solo, spesso nel nulla, a gestire situazioni rischiose. In quel momento nessuno ti chiede di vestirti in un certo modo, seguire regole o rispettare delle routine.
In quel momento il giochetto alzati, lavora e consuma salta. Per i più fortunati il momento “lavora” non esisterà mai, per tutti gli altri saranno minuti o ore di vera libertà che ti porteranno a rimanere motivato per giorni.
Se passo una giornata a girare in mountain bike saltando e andando veloce, il giorno seguente potrei essere fisicamente nel posto più noioso del mondo ma mentalmente sarei fermo a quei momenti in bici e sarei, in qualche modo, felice. Sono sicuro che chiunque pratichi qualche sport adrenalinico provi la stessa cosa.
Una persona alla ricerca continua di sensazioni intense e che vuole sfuggire dalla noia come può essere compatibile con una società che si basa sulla monotonia e standardizzazione?
Qualche anno fa, purtroppo, ho dovuto mollare quasi del tutto lo sport e iniziare a lavorare fulltime.
Il lato positivo è che anche le situazioni più “rischiose” e stressanti le reggo bene perché continuo a ripetermi “in bici se sbaglio prendo un albero ai 50 all’ora e ci lascio qualche osso, qua al massimo faccio una figura di merda”. E la figura di merda se la dimenticano tutti in poco tempo, le ossa rotte le paghi tutte.
Il lato negativo è che mi confronto con persone che hanno un percorso di vita totalmente diverso dal mio. Non sono più nel gruppo di gasati dove la normalità era allenarsi, parlare di sport, stare in montagna, dare gas e ogni tanto portare qualcuno in ospedale. Adesso la (a)normalità è sentire parlare di cose materiali di comprare, cene pallose, routine quotidiana. Il tutto prendendo il solito caffè alla solita macchinetta.
In un mondo che attribuisce all’autocontrollo e all’autoregolazione un grande valore, la partecipazione ad attività culturalmente considerate “rischiose”, consente al Sé e al corpo, di godere, almeno temporaneamente, dei piaceri del corpo “grottesco” o “primitivo”.
Lupton, 2003
La genetica però non la cambi ed è così che le emozioni degli sport estremi non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle lavorative. Mica sento la paura di morire se faccio un convegno… come faccio a uscirne soddisfatto e adrenalinico se rimango apatico?
Cerco di mettermi anche a lavoro nelle situazioni più scomode e rischiose possibili ma non è comunque paragonabile a uno sport estremo. Chiunque può levarsi da una situazione lavorativa scomoda, molti meno possono doppiare 20 metri di salto.
Continuo così a osservare da lontano il mondo parallelo a cui appartenevo mettendoci ancora, timidamente, un piede dentro quando posso e trovo la motivazione giusta.
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