Oggi vi porto alle rocche del Serous più precisamente sulla punta Ettore Mattirolo passando per la cresta sud-est.
È ormai passato quasi un anno dal mio primo giorno di arrampicata, ho cercato di allenarmi il più possibile (tempo e spostamenti permettendo).
L’arrampicata è un bellissimo sport psicofisico ma richiede tanto, spesso troppo tempo, per essere praticato con costanza.
In ogni caso, a Maggio dello scorso anno [2019, ndr] decisi che avrei iniziato ad arrampicare e così feci.
In poco più di tre mesi non avevo ancora nessuna malizia né tecnica ma i gradi pian piano iniziavo a conquistarli e le paure delle altezze riuscivo a contenerle sempre di più.
Ho addirittura imparato a fare qualche nodo e manovra oltre al classico otto ripassato.
Quindi, ad un certo punto, decisi di esser pronto per la mia prima via alpinistica.
Premetto che prima di allora non sapevo minimamente cosa volesse dire alpinismo (non che adesso sia un esperto).
Chiedo consigli al mio amico alpinista Enea sulle possibili vie da percorrere. Alla fine decidiamo per una via F+ in valle Stretta, poco lontano da Bardonecchia (TO).

La cresta sud-est che porta alla punta Ettore Mattirolo, che fa parte delle rocche del Serous
Da buon cagasotto delle altezze mi metteva l’ansia solamente leggere la parola “cresta”, però il grado è comunque minimo, alla portata davvero di tutti.
La meta era fissata, adesso dovevo trovarmi un compagno.
Doveva essere un amico inesperto come me ma mentalmente pronto a tirarsi fuori da eventuali casini che probabilmente (anzi, sicuramente!) ci saremmo trovati a dover risolvere.
E chi meglio del mio amico Giulio poteva accompagnarmi in questa ennesima avventura improvvisata?!
Giulio è mentalmente un vero duro, testa bassa e spinge fino al raggiungimento dell’obiettivo. Ha ancora meno esperienza di me su roccia, ma fisicamente è una bestia ed è super organizzato per essere autosufficiente. Un vero militare. È perfetto!
Una chiamata veloce e ovviamente conferma la presenza.
La partenza e i merenderos
Partiamo in mattinata e raggiungiamo Bardonecchia; entriamo in Valle Stretta e parcheggiamo nell’ultimo spiazzo disponibile.
È estate, la valle è bellissima, pianeggiante, fresca e con un rifugio a 300 metri dal parcheggio. In più passeggiando 20 minuti si possono fare foto davvero wild.
Sono le condizioni ideali per un’invasione di merenderos. Attirati come le api dai feromoni della regina, ecco che con un ritmo costante e una guida tendenzialmente cittadina, i merenderos vanno a coprire ogni centimetro quadrato di prato.
Fossero stati ripresi da un drone ci sarebbero stati molti punti in comune con un time lapse di un formicaio.
Ci facciamo largo tra cesti da picnic, selfie e ondate di gruppi vacanza. Superiamo il vicinissimo rifugio Tre Magi, passiamo oltre il piccolo paesino di case in pietra e imbocchiamo il sentiero.
Le indicazioni sono molto semplici, seguire il sentiero fino al passo del Serous.
Avanziamo con passo spedito cercando di percorrere una strada su linea retta per recuperare tempo.
L’attacco della via e le ravanate
Dopo circa due ore arriviamo al passo de Serous e iniziamo a cercare l’attacco della via.
Piccolo dettaglio. Non sapevo ancora dell’esistenza di gulliver.it, quindi le nostre uniche indicazioni erano due foto di una guida storica della via. C’era già puzza di ravanata fin dall’inizio.
Siamo quindi alla base delle rocche, vediamo più o meno la via da percorrere in lontanza e, spinti dalla nostra vena di ignoranza, decidiamo di salire in linea retta dal sentiero fino alla base della via di alpinismo.

Superiamo una prima parte ripida, molto ripida, di pietre su fondo erboso e arriviamo alla base di un’enorme distesa detritica ghiaiosa.
Proviamo anche qua a salirla verticalmente ma siamo costretti a ripiegare e passare dal colletto qualche centinaio di metri più in là. Dovendo così percorrere due traversi, uno per raggiungere il colletto e uno per arrivare all’attacco della via.
Il secondo traverso ci ha già dato qualche problema. Alcuni passaggi sono molto esposti e su terreno estremamente scivoloso, detriti su rocce piane.
Nel frattempo, nel silenzio della montagna, sentiamo numerose scariche di sassi cadere in alcuni punti che avremmo dovuto superare…
Arriviamo finalmente all’attacco della via, un canale di circa 50 metri semplice da arrampicare.
Superiamo facilmente il canale e uscendo ci troviamo su un pendio molto ripido, scivoloso e estremamente esposto. Un tappeto erboso e sabbioso che termina con un salto di centinaia di metri.
Qua si presenta il primo problema. Tecnicamente entrami ci caghiamo sotto. Siamo fermi, seduti sul bordo del pendio a fissare un po’ il nulla sotto i nostri piedi e un po’ le rocce a una trentina di metri sopra le nostre teste, il punto da raggiungere per arrivare ad avere una presa sicura.
Nel dubbio facciamo una merenda e proviamo a rilassarci.
Ci ripetiamo a vicenda: “Ormai siamo arrivati fin qua, dobbiamo salire”. Ci facciamo coraggio e saliamo da questo pendio scivoloso ed esposto.
Raggiungiamo finalmente le rocce in cima al pendio, anch’esse instabili. Ma sempre meglio di ciuffi d’erba alternati a detriti.
Aggiriamo lo spigolo passando per una cengia e risaliamo il bordo fino a raggiungere l’attacco della cresta. Impressionante. Per gli esperti o comunque per chi è abituato a percorrere vie di alpinismo, quella cresta sarebbe probabilmente risultata una passeggiata. Non per noi..
La cresta tecnica è molto semplice, piedi e mani sempre ottimi ma l’esposizione è massima. Da entrambi i lati vediamo dei salti di centinaia di metri. Ormai però la fase critica iniziale l’abbiamo passata e procediamo divertendoci.
Superiamo nuovamente una distesa erbosa e raggiungiamo la vetta. Abbiamo fatto la nostra prima via di alpinismo!

Il panorama è pazzesco. In lontananza vediamo tutta la Valle Stretta, il Tabhor e altre vette che da bravo ignorante non so nominarvi.
Merenda veloce e si inizia la discesa. La parte più rischiosa.
Altra parentesi. Siamo saliti senza corde, anche perché nessuno dei due sarebbe stato capace di attrezzare una calata o anche solo di procedere in conserva. Abbiamo giusto delle longe e dei cordini, inutili.
Scendiamo quindi a passo spedito nel prima parte più sicura, superiamo la cresta e per un pelo non perdiamo il bivio che dovevamo imboccare. Il risultato sarebbe stato disarrampicare da un versante molto più difficile.
Arriviamo al maledetto pendio iniziale e, ormai più tranquilli, lo scendiamo sfruttando alcune sporgenze rocciose e variando la via rispetto alla salita.
Disarrampichiamo il canale e arriviamo alla partenza, sani e salvi!
A questo punto scendiamo dritto per dritto sulla valanga detritica. Sciando, come se fossimo in fresca, bellissimo.
Siamo quindi nuovamente alla base delle rocche, ma non troviamo più la via che avevamo percorso per salire (anche perché non c’era una via).
Santo Suunto, con la traccia salvata dell’andata, ci riporta sul sentiero. Altre due orette di camminata tranquilla e siamo alla macchina.
Aperitivo a campo Smith e si torna a casa.
Come direbbe Enea : “Santa ignoranza”.
Qua trovate la relazione di Gulliver.it

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