Dopo avervi raccontato un po’ di come sia nata questa “malsana” idea [e ancora non avete idea di quanto sia malsana quella per il 2021, ndr] nella prima parte di questo Gran Tour MTB Freeride a Prali, eccomi a raccontarvi com’è andato il tour… siete pronti?
Il nostro MTB Freeride Tour a Prali prende il via
Sono le 9 di mattina e, in cima al secondo tronco di seggiovia, facciamo partire i GPS dopo aver preso la prima corsa.
Il cielo è plumbeo e l’aria è decisamente frizzante. Ben coperti, affrontiamo un po’ rigidi la prima parte del sentiero verso la Conca dei 13 laghi che alterna parti veloci e scorrevoli a un paio di “rock garden” naturali, da superare con leggerezza e precisione di linea; insomma, iniziare con un bel cappottone in mezzo ai sassi di prima mattina, non sarebbe proprio di buon augurio…

INIZIA LA PARTE INESPLORATA DEL TOUR
Arrivati ai resti dei baraccamenti militari, complice anche qualche timido raggio di sole, ci spogliamo in preparazione delle salite che ci aspettano.
Attacchiamo il sentiero 228 subito dopo i ricoveri e da questo punto in poi è avventura vera; siamo su un sentiero visto da lontano, sulle mappe e mai “raidato”.
Ritengo i 2.6 km successivi i più duri del giro: il fondo lastricato è fortemente irregolare e ha richiesto una grande quantità di energia per superare lo stillicidio di ostacoli formati dai sassi che, dal mio punto di vista, sono comunque meno faticosi da affrontare in sella [ma richiedono forza di gambe, equilibrio e colpo d’occhio, nda] piuttosto che a scendere e salire dalla bici in continuazione.
La mia “idea di ciclabilità” di un percorso è che se ho le capacità, devo passare gli ostacoli stando in sella, e andare a piedi solo lo stretto necessario.

È CON LA PARTE INESPLORATA CHE ARRIVA ANCHE TANTA FATICA
Ho spinto per qualche tornante in salita; erano troppo chiusi per essere affrontati pedalando e così ho dovuto prendere la bici a mano per superare qualche passaggio troppo esposto alternato a diversi tratti piacevoli da guidare in sella e a splendidi passaggi livello paesaggistico.
La delusione per il cielo plumbeo della partenza si è trasformata ben presto in un pensiero positivo: percorrere quel tratto sotto il sole sarebbe stato un disagio per il fisico, piuttosto che una gioia per gli occhi…
Mi ritrovo presto affaticato e bagnato di sudore, con le gambe che bruciano e la bocca asciutta nonostante l’enorme aiuto del motore della mia bici.

AL COSPETTO DEL COL GIULIAN
Approfitto di una breve sosta ristoratrice per scattare diverse foto prima di portarci ai piedi del Col Giulian, comparso improvvisamente dopo aver raggiunto un terrazzino.
Con poche pedalate raggiungiamo la base della salita, caratterizzata da un fondo compatto che ci aiuta incredibilmente a rimanere in sella, nonostante le pendenze proibitive dei tornanti. A memoria, solo uno ci ha costretti a ripartire con il piede a terra.
Raggiungiamo la sommità dopo appena 90 minuti dalla partenza ma non ci facciamo caso, rapiti dalla bellezza del panorama e dalle chiacchiere scambiate con un piccolo gruppo di persone dirette alla Punta Fiunira.

GIOIE E GRANDI PANORAMI
Dopo un breve passaggio a piedi a causa di un piccolo smottamento, riprendiamo a pedalare su un fondo decisamente migliore di quello affrontato fin a quel momento e rapidamente ci portiamo alla base del Passo Dar Loup: ritengo anche questo pedalabile al 95% con un po’ di tecnica.
La discesa sul versante opposto è quasi completamente ciclabile in quanto presenta solo un paio di punti esposti e “delicati” a causa di lievi cedimenti del terreno verso valle e alla presenza di qualche arbusto che diminuisce la larghezza della traccia.

PASSAGGI DELICATI
Qualche passo a piedi e si riparte in discesa fino a perdere, purtroppo, circa 100 metri di dislivello; ci prepariamo ad affrontare una risalita a mezza costa decisamente ripida sia per il guadagno di quota tra un tornante e l’altro, sia per il vuoto verso valle.
Così, dopo una prima parte affrontata a spinta (ma aiutati parecchio dalla funzione “walk” delle nostre e-mtb) a causa della traccia sprofondata ed erosa rispetto alla costa che non ci permette di pedalare, con nostro sollievo il sentiero perde qualche grado di pendenza e risulta decisamente meno “scavato”.
Risaliti in sella, ci accorgiamo dell’elevato pericolo nel quale possiamo incorrere nel malaugurato caso in cui il pedale destro vada ad impattare nel terreno ed il motore eroghi la sua spinta. Una fatalità del genere non lascerebbe scampo in caso di caduta.
Prima di scollinare, veniamo raggiunti dal gestore del rifugio del lago verde che sta rientrando da una “corsetta” di circa 1000 metri di dislivello…
Ci chiede del nostro giro e ci dà appuntamento per pranzare al rifugio, visto che oramai sono quasi le 12.
Ci saluta e sparisce dalla nostra vista, mentre noi ci riposiamo e ci scambiamo le prime impressioni sul giro fino a quel punto.

L’ULTIMA SALITA
Ancora una volta il terreno cambia sotto le nostre ruote permettendoci di avanzare molto velocemente, ma altrettanto velocemente cambia anche il tempo in quota: il sole non si è praticamente visto nelle ultime 2 ore se non a sprazzi e una leggera brezza ha fatto formare una densa nuvolaglia che non permette di vedere le cime delle montagne.
Per questo motivo, giunti al bivio che porta alla Punta Cerisira, decidiamo di non salire e di proseguire verso il Colletto della Gran Guglia a quota 2760, il nostro “gran premio della montagna”.
Anche questa salita si presenta in buone condizioni e risulta completamente ciclabile. Arrivati in cima ci vestiamo velocemente per via dell’aria “fresca” e decisamente umida per scattare le foto di rito, prima di affrontare la discesa sul lago Verde.

IN DISCESA VERSO LAGO VERDE!
Da questo versante, causa una traccia decisamente ripida e senza curve a mitigare la pendenza, bisogna obbligatoriamente scendere con la bici a mano: a mio avviso questo è il punto in cui è più facile farsi del male, anche a causa delle scarpe (ovviamente basse) che non offrono alcun sostegno alla caviglia sul fondo smosso.
Per fortuna il tratto è breve (stimato in circa 70 metri di dislivello), dopodichè si riesce ad arrivare al rifugio stando in sella.
Dall’arrivo della seconda seggiovia di Prali al lago Verde, il GPS segna 13.6 km percorsi in appena 4 ore, pause comprese.
Alle 13 appoggiamo le bici vicino all’ingresso del rifugio ed entriamo per un piattone di polenta; il gestore ci riconosce e si congratula ancora con noi per l’impresa, verosimilmente una “prima” almeno in e-bike.

LA PANCIA È PIENA, MA NOI SIAMO ANCORA AFFAMATI DI SENTIERI
Proseguiamo verso Prali scendendo prima sul sentiero pedonale, poi siamo obbligati a prendere la gippabile.
Avevo una variante da proporre, ma dovendo ancora andare alla Rocca Bianca, non volevo “tirare troppo la corda” e, a malincuore, non percorriamo il sentiero che prosegue sulla costa opposta alla nostra, proseguendo a perdere dislivello sulla pista.
Arrivati a Prali, dopo un veloce caffè risaliamo di nuovo a quota 2500: essere di nuovo lassù dopo così poche ore e in relazione ai km fatti (e dove, soprattutto!) ci emoziona molto mentre ripercorriamo con gli occhi i punti salienti del nostro giro, indicandoli con il dito indice.
Stupore e “gasamento” viaggiano a braccetto nei nostri cuori per qualche minuto
Risaliamo in sella e ci dirigiamo dalla parte opposta rispetto al punto di partenza della mattina.
Questa volta però la traccia la conosco bene ed è una passeggiata di salute rispetto a quanto fatto la mattina, seppur non bisogna mai abbassare l’attenzione per via dei numerosi sassi, gradini e punti esposti.
In 45 minuti raggiungiamo la Rocca Bianca, ma anche qui una densa foschia non ci permette di godere del panorama circostante.
Affrontiamo gli ultimi metri in compagnia di un signore del posto che arriva in cima portandosi a spalla la sua bici muscolare.
Dopo i saluti di circostanza, si congratula con noi per la riuscita dell’impresa: siamo sbigottiti perchè normalmente sono gli e-biker che si congratulano con chi compie determinati giri senza motore, e non viceversa!!
Questo ci inorgoglisce molto e ci fa realizzare ancora di più che abbiamo realizzato una “combo” probabilmente unica.
Ci congediamo e scendiamo verso Indritti tra sentieri e prati, con la vegetazione e i colori che cambiano man mano che perdiamo quota.
Sul sentiero ci confrontiamo ancora con passaggi tecnici che a volte ci costringono ad andare a piedi per pochi metri, ma non abbiamo fretta di rientrare e, soprattutto, non vogliamo prenderci rischi inutili.
La parte finale ci regala invece un veloce singletrack fino all’asfalto da dove, intorno alle 17, raggiungiamo la macchina.

INFORMAZIONI GENERALI SUL TOUR MTB FREERIDE A PRALI
Ritengo che un biker preparato e discretamente dotato tecnicamente spinga complessivamente per circa 1 km su questo giro; è un dato sicuramente personale e discutibile perchè ogni biker deve fare i conti con la propria visione e preparazione.
Come ho già detto, io ho cercato di stare in sella il più possibile evitando comunque rischi inutili oltre a dover superare tratti ed ostacoli oggettivamente non ciclabili.
Rimane il fatto che questo giro è adatto SOLO a chi ha la coscienza di dover affrontare un percorso d’alta montagna non specifico per mountain bike, con parecchi punti esposti e pericolosi.
Ovviamente, se nessuno lo fa, ci sarà un motivo… no? 🙂
Al lago Verde, il consumo di batteria è stato pari a 340WH, e ho usato le assistenze senza badare ai consumi, utilizzando più o meno motore alla bisogna.
Il periodo migliore a mio avviso è fine agosto/inizio settembre, dove si hanno ore di luce in abbondanza, canaloni sgombri da neve e (si spera) cielo limpido.
La prima corsa della seggiovia è alle 8.30, quindi la partenza effettiva in bici è alle 9. Consiglio di arrivare prima per evitare la fila alla biglietteria, in quanto la zona è molto frequentata da escursionisti.
Un ringraziamento al mio amico Vanni Varaia che ha condiviso con me questa avventura e alla famiglia che gestisce il rifugio del lago Verde per l’accoglienza (https://www.facebook.com/rifugiolagoverde).
Qui trovate l’album completo https://photos.app.goo.gl/xh1ogxqz6dxV88ZL7

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