Ho smesso di partecipare alle gare mountain bike ormai da anni e ci ho messo un po’ a passare da una mentalità race a una più “soft”, con l’obiettivo del divertimento.
Sto ricominciando ad andare in bici in questo periodo. Sono deallenato, non ho più il manico per dare gas ne la tecnica per saltare grosso.
Allora mi son chiesto. “Qual’è la disciplina che racchiude tecnica, rischio, fatica, velocità contenuta e un po di avventura in montagna?”.
La risposta è ovvia: il cicloravanismo!
Il cicloravanismo ha una storia solida e di un certo spessore, nasce infatti nel… adesso!!! Ovvero, con questo articolo. O almeno Dr. Google così dice 🙂
Per chi non lo sapesse, il “ravanare” è quell’arte in cui uno sportivo avventuriero va alla ricerca di nuovi linee e sentieri, girovagando per le montagne. Il “ravanage” potrei dividerlo in due grandi sottodiscipline: il ravanage volontario e involontario.
Il ravanage involontario solitamente inizia con una frase classica tipo “tagliamo di qua che facciamo prima”.
Il ravanage volontario invece prevede una partenza con idee chiare: “sappiamo che stiamo andando a incasinarci in montagna”
Entrambi i tipi di ravanage portano però a dei risultati comuni, tra cui possiamo citare i più frequenti:
- Perdita dell’orientamento
- Trovarsi in situazioni difficoltose
- Fatica e sofferenze fisiche protratte nel tempo
- Rientro alla base con ore di ritardo, spesso col buio, senza cibo ne acqua
La prima gita test di cicloravanismo ho pensato di farla nello “spot delle mie prime volte”, l’Aquila di Giaveno.
In pratica quando mi viene in mente una cazzata vado a provarla li perchè il dislivello è buono ed è distribuito su tre salite ripide, tra ampi pendii e versanti ripidi pietrosi. Mi influenzerà anche il fatto che lo sci in Italia sia stato “inventato” proprio qua, boh..
Anello mountain bike estremo Aquila di Giaveno (TO)
La preparazione cartografica è stata di una certa qualità. Da un’app molto utile che utilizzo per esplorare i sentieri in montagna traccio un anello che parte da Alpe Colombino, sale diretto alla punta dell’Aquila di Giaveno, scende lungo la cresta del Cugno dell’Alpet e prima di Monte Muretto scende in mezzacosta sotto il Monte Brunello seguento tutto il sentiero 409.
In pratica ho tracciato un giro a caso perchè volevo fare un anello, una cresta e del ripido tecnico. Sono circa 16 km e 1300 metri di dislivello.
Partiamo di buon ora con il mio amico Deste, come i veri cicloravanatori ed i migliori dei merenderos
- alle 10.00 è da me;
- alle 10.30 primo caffè;
- alle 10.45 compriamo il cibo;
- alle 11.30 arriviamo all’Alpe Colombino fieri di essere perfettamente in orario secondo il nostro fuso orario GMT +- 5 ore.
Meteo buono, sole annebbiato ma presente. Abbiamo però solo 1 litro di acqua.
- alle 11.45, secondo caffè per riempiere la bottiglia di acqua e una mia borraccia in buono stato di conservazione (essendo ormai un fossile);
- alle 12.00 con ben 1,5 litri di acqua in due e quattro pizzette oleose partiamo (1200m).
Il primo tratto si pedala bene se hai una FTP di 500w e pesi 60kg. Scendiamo e spingiamo fino al Pian del Secco (1450m).
Da lì diamo due timide pedalate e scendiamo fino a quando non spiana 🙂
Pedaliamo addirittura per alcune centinaia di metri poi ci troviamo davanti la rampa per la stazione intermedia. Qua forse con una e-bike da 3000w avremmo avuto delle possibilità di arrivare in cima pedalando…
Stazione intermedia. Merenda veloce e poi via verso la punta dell’Aquila. In due ore giuste siamo in cima.
Alle ore 14.00 siamo a Punta dell’Aquila (2120m)
Pranzo, foto insieme (rigorosamente controluce) come prova della conquista da inserire nel curriculum, come i veri alpinisti, e poi si inizia a scendere.
La cresta dell’Aquila si fa in parte in sella per poi arrivare al Cugno dell’Alpet alternando breve salite e discese tecniche e lente.
Dal Cugno dell’Alpet inizia il “divertimento”
Il sentiero è un pò come il trucco per i maghi “c’è ma non si vede”. Scendiamo quindi a caso per un versante che sembra un po il gioco Campo Minato di Windows.
In pratica ogni zolla d’erba era come una casella del gioco, dietro ognuna di loro poteva esserci una mina e se per sbaglio la cliccavi, esplodevi.
Disseminiamo jolly ogni metro percorso, arriviamo a un tratto di sentiero esistente e molliamo i freni forse per un minuto. Dopo arriva di nuovo il campo minato e poi finalmente una pietraia, di quelle facili per gli stambecchi, con pietre grosse come lavatrici.
Superiamo l’ultimo ostacolo limando i pin dei pedali su ogni pietra e arriviamo finalmente al colletto dove dovrebbe iniziare il sentiero a mezza costa.
Troviamo tracce di sentiero tra l’erba alta un metro, più lievi di un scritta fatta con una Bic esaurita su un foglio a quadretti.
Il sentiero si fa via via più marcato ed è effettivamente un lusso rispetto a tutta la cresta passata
Il fondo è distrutto, l’esposizione in alcuni punti si fa impegnativa e il sentiero è largo come una gomma di una fat bike. Quindi, divertente! Il sentiero, non la fat bike 🙂
Praticamente, è come guidare sulla striscia bianca stradale con la bici da corsa; solo che qua spuntano fuori pietre piegacerchi ovunque e, se dovessi cadere, l’intestatario della tua polizza vita si farebbe la villa nuova!!!
L’impegno tecnico e mentale è bello sostenuto, non male come alternativa per gli anziani del downhill.
Arriviamo fino al bivio per riprendere il sentiero in salita, pensando poi di scendere. E invece no… Era solo l’inizio dell’agonia finale!!!
Dopo tre ore tra salita e discesa eravamo ormai mentalmente proiettati con le gambe sotto il tavolo e uno spritz. Ci siamo invece trovati a proiettare m*****e verso il cielo.
Iniziamo con un sentiero ripido ma abbastanza largo, passiamo poi a un mezzacosta comodo, a una salita leggera con fondo buono e poi inizia la missione nella giungla.
Eravamo andati troppo avanti per tornare indietro, dobbiamo quindi continuare dopo essere stati illusi sulla comodità del sentiero. Un po’ come quando vedi la foto catalogo di un vestito di Wish e poi ti arriva a casa uno straccio che non puoi nemmeno usare per pulire il WC perchè puzza di petrolio.
Andiamo avanti su un sentiero largo il giusto per mettere i piedi, bici davanti in spinta su una ruota sola. Erba che ci arriva alle orecchie, umidità da foresta tropicale, e acqua finita.
Dopo circa un’ora arriviamo finalmente ad un sentiero percorribile. Un’altra ora quasi tutta in sella sull’ultima parte del 409, poco pendente ma con alcuni passaggi trialistici.
- alle 17.00 siamo sull’asfalto. Sfatti ma ancora motivati e assetati.
- alle 17.30 siamo al furgone contenti del battesimo del cicloravanage!
Deste è sempre stato sul pezzo e siamo entrambi interi.
Potrebbe iniziare una nuova Era, ma penso che il cicloravagne per essere divertente e relativamente sicuro debba essere somministrato a intervalli regolari, distanti tra loro circa una settimana, e a piccole dosi. Più o meno come alcuni psicofarmaci nei primi mesi 🙂
Consiglierei la gita a un mountain biker qualsiasi? Assolutamente no!!!
Un’uscita del genere può avere senso per chi vuole rompere la routine ma possiede un livello tecnico estremamente alto.
TI chiederai quindi perchè ho descritto una gita del genere se praticamente quasi nessuno potrà poi a farla, giusto?
Beh, questi articoli sono un ricordo per me, come le foto. Un giorno lo rileggerò, mi farò due risate e penserò: “certo che sono proprio un coglionazzo” 🙂
Davvero divertente e anche inusuale.
Grazie della condivisione.
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Ciao Zaccaria grazie per averlo letto. Anche il nostro giro è stato sicuramente inusuale e quasi sempre divertente 🙂 buona giornata. Davide
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