Viviamo nella società delle comodità. Tutto è smart, veloce, immediato e pronto al consumo.
Ci muoviamo in macchina e la nostra soglia di attenzione regge a mala pena le didascalie delle immagini che ci colpiscono.
In questo contesto parlare di fatica, fisica o mentale che sia, è un azzardo e rischia di essere poco interessante: la mente dell’uomo allontana ciò che non vuole accettare.
La negazione è uno dei meccanismi di difesa che, se non rigidi e persistenti, aiutano l’individuo nella vita di tutti i giorni.
L’uomo si difende da tutto ciò che percepisce come pericoloso per il mantenimento del proprio equilibrio psicofisico.
SOFFERENZA = DOLORE x RESISTENZA CHE OPPONIAMO AL DOLORE
Un individuo nato e cresciuto nella comodità difficilmente si metterà nella condizione di uscire dalla sua zona di comfort, a meno che non si attivino altri bisogno esistenziali e sociali. Per esempio, il bisogno di condivisione.
Ed è proprio per questo motivo che ho lasciato il mio comodo divano per infilare scarponi e zaino e partire per un viaggio in cui i chilometri percorsi non sono minimamente paragonabili al cambiamento interno che ne è derivato.
Sto camminando da ore. Svariate decine o forse solo un paio di mezz’ore non lo so.
Il pendio è estremo. Il passo fatica a rimanere costante. Sento il cuore pulsare in gola. Dentro la mia testa tutto urla “fermati!”.
Il pensiero di non farcela supera la consapevolezza che ogni secondo passato a pensare che non ce la stia facendo è un grammo di energia che tolgo al mio fluire su questo terreno fatto di terra, pietre e foglie secche.
La fatica. Ma a chi piace faticare?!
“Non pensare e cammina” mi dicono.
Inizio a riflettere: forse è questa la grande lezione che si può imparare dalla montagna, o dalla fatica in genere. In una società cresciuta sulla scia del “cogito ergo sum” [penso quindi sono, nda] sostenere che azzerare il pensiero possa essere d’aiuto sembra essere un ossimoro.
Una psicologa che sostiene che non pensare sia utile? Robe da matti!!! E no invece ragazzi, robe da sani!
Ogni volta che ci allontaniamo dal qui e ora, andando ad abitare ricordi del passato e a ripetere nella nostra testa gli insegnamenti che ci sono stati trasmessi quando eravamo piccoli (“prima il dovere, poi il piacere” oppure “nella vita se non ti tiri su le maniche nessuno ti aiuta” e poi ancora “zitto e cammina”), perdiamo il contatto con quanto sta accadendo intorno a noi.
C’è una sottile ma fondamentale linea di confine tra questi pensieri legati al passato, magari anche utilizzati per motivarci, e la consapevolezza derivata dalla percezione del nostro corpo e delle nostre emozioni.
Concentrarsi sul respiro e sulla tensione muscolare, cogliere e accettare le emozioni che affiorano, stiamo in ascolto
Questa è la strada per andare avanti. Che tu stia scalando una montagna o preparando un esame o un colloquio importante.
Non pensare significa quindi stare in contatto con il presente. Senza dare spazio a quei messaggi svalutanti e oppressivi che affollano la nostra mente quando usciamo dalla zona di comfort.
Non significa quindi escludere il pensiero perché esso è in stretta connessione con i nostri sentimenti. E insieme determinano i nostri comportamenti.
In tutto questo la fatica percepita è una chiave d’accesso, un messaggio che proviene dal corpo e che va ascoltato.
La fatica, sia essa fisica o psicologica, porta quindi con sé un insegnamento
Ovvero ci rende consapevoli delle voci che si presentano per ostacolare il nostro cammino, dandoci così l’occasione di accoglierle e superarle, passo dopo passo, fino alla meta.
Immaginate di trovarvi durante un trekking nel bel mezzo di una salita dura di cui non vedete la fine
Quali sono i pensieri che affiorano? E le emozioni? A cosa ti servono?
La fatica non è fatica… se te la scegli!